IL TEMPO DEL SOGNO ‘INFRANTO’ DEGLI ABORIGENI AUSTRALIANI

di Francesca Orioli

La storia degli Aborigeni australiani è di quelle che ci catalizzano con il loro fascino ma poi ci lasciano l’amaro in bocca. Un concentrato di insegnamenti antropologici per riscoprire l’evoluzione umana e macchia indelebile nella storia dell’Australia.

La presenza degli Aborigeni nel continente australe sembra risalire a oltre 50.000 anni fa. La società era organizzata in tribù, dedite alla caccia e alla raccolta di piante commestibili, con una gerarchia fondamentalmente matriarcale.

Non esisteva il concetto di proprietà privata e la gestione delle terre era basata su un concetto che a noi occidentali risulta difficile da immaginare: secondo le credenze furono gli Antenati Creatori – diretti discendenti del Grande Serpente Arcobaleno, creatore della terra, dell’acqua e del cielo, che, in base al loro luogo di concepimento, definirono in tempi immemorabili la distribuzione delle terre. E trasmisero sotto forma di canti’ le disposizioni ai loro successori. Questo fu il Tempo del Sogno, una serie di miti che hanno dato origine a tutto quello che esiste: materia, energia, vibrazioni. Miti e storie che venivano tramandati oralmente di generazione in generazione. Storie ‘cantate’ che costituiscono la base della cultura e delle tradizioni degli Aborigeni: l’intera Australia sarebbe ricoperta da una immaginaria mappa di ‘Vie dei canti’, come raccontato da Bruce Chatwin nel suo celebre romanzo.

Petroglifici

Elemento cardine della cultura aborigena è il rapporto molto stretto con la natura e con tutte le creazioni della terra, si dice che gli antichi Aborigeni avessero capacità extrasensoriali, che avessero sviluppato la telepatia e la rabdomanzia ovvero l’arte di scoprire vene sotterranee di acqua con strumenti fatti di legno, tecnica veramente importante nell’arido entroterra australiano. Non avevano bisogno di cartine per ritrovare la strada ed evitare di perdersi nell’immensità dei territori, era la loro energia ancestrale e la conoscenza dei ‘canti’ a guidarli.

I monti Olgas – il sito sacro Kata Tjuta

Tutto bello, affascinante e poetico finché arrivò l’uomo bianco a colonizzare l’Australia. Dapprima l’invasore utilizzò questa terra lontana come prigione di malviventi poi calpestò le tradizioni indigene per ignoranza e incomprensione. Come i Maya, gli Inca e gli Aztechi, anche gli Aborigeni non erano preparati ad un ‘conquistatore’, la loro cultura si basava sulla condivisione e non potevano subodorare la malvagità occidentale. L’invasore bianco portò cattiveria in quantità massiccia e bramosia di costruire su quelle immense terre desolate. E le Vie, invisibili ai suoi occhi ignoranti, non esistevano. E giù di ferrovie, strade e grandi opere, tutto quello che il progresso dettava.

Nel Red Outback

Ma ha fatto di peggio. Se la mancanza di rispetto ha falciato via molti luoghi sacri, la cattiveria e l’avidità hanno distrutto un popolo. Gli Aborigeni sono stati cacciati dalle loro aree, soprattutto quando queste erano ricche di risorse – secondo il principio del terra nullius – visto che la proprietà privata non esisteva e la terra non era quindi di nessuno, l’occidentale ha pensato bene di istituirla. E dopo aver messo in ginocchio il popolo annientandolo con le malattie occidentali e decimandolo con un vero e proprio genocidio in nome della superiorità della razza bianca su etnie considerate primitive, l’invasore bianco ha cercato di eliminare la specie togliendo i bambini alle famiglie d’origine per crescerli secondo criteri occidentali. Una tremenda vicenda nota come la Stolen Generation, la generazione rubata.

Tra il 1910 e il 1970 si è operata una pulizia etnica in tutti in sensi: i bambini venivano strappati alle famiglie, venivano insegnate loro la lingua inglese e le usanze europee. Si parla di circa 100.000 bambini rubati e rieducati in istituti di stampo occidentale e strutture religiose. Scopo primario era radere al suolo la cultura aborigena e contemporaneamente addestrare domestici al servizio dei bianchi.

La questione degli Aborigeni è stata per almeno 200 anni un’escalation di diritti negati e rimane senza dubbio la vergogna più profonda della storia australiana. Si è cercato di ‘metterci una pezza’ soltanto nel 1963 attraverso la concessione del diritto di voto agli Aborigeni e solo nel 1967 vennero riconosciuti i pieni diritti al popolo aborigeno ovvero, udite udite, è stato riconosciuto loro lo status di ‘cittadini australiani’ . Come se non lo fossero stati ancora prima di chiunque altro.

Apripista per le rivendicazioni delle terre fu la sentenza  dell’Alta Corte divenuta famosa con il termine ‘Mabo vs Queensland’: dal nome di Edward Koiki Mabo un aborigeno che si è battuto per i diritti alle assegnazioni tradizionali delle terre nello stato del Queensland. Ma le scuse ufficiali da parte del primo ministro australiano arrivarono solo nel 2008, meglio tardi che mai. Un forte mea culpa sull’annientamento delle tradizioni, sulla terra rubata e soprattutto sui figli allontanati. Un altro passo decisivo, ma ancora non è stato inserito il diritto al mantenimento della propria diversità nella costituzione australiana.

Oggi gli Aborigeni sono soltanto il 3% rispetto all’intera popolazione ma la percentuale raggiunge il 30% se si considerano i territori del ‘red outback’ l’entroterra nel Northen Territory, l’impervia zona dell’Australia centrale che ruota attorno alla città di Alice Spings e dove svetta la sacralità di Uluru, il monolite conosciuto come l’Ayes Rock. La situazione sta migliorando ma le popolazioni aborigene sono ancora soggette a povertà e disoccupazione che ha portato, insieme al senso di sradicamento, a generare una società perduta che si è data alla strada e all’alcol. Soggiogati dalla miseria e dalla frustrazione vivono nelle città ma spesso nelle periferie più degradate. E ancora oggi la situazione rimane drammatica e la percentuale di suicidi anche tra i giovanissimi è altissima. Da un lato l’autostima nei giovani è totalmente assente, dall’altro le celebrazioni tradizionali dei funerali portano grande riconoscimento al defunto e il mix di questi due fattori, secondo studi psicologici, induce i giovani alla morte per avere riconoscimenti e attenzione. 

Ma l’uomo bianco è maestro nello sfruttare le occasioni: da qualche anno ha capito che il recupero delle tradizioni e della cultura aborigena affascina i suoi simili quindi sta promuovendo la trasposizione in arte figurativa dei ‘sogni’ aborigeni. Per non parlare dei tour a visitare gli Aborigeni, qualche agenzia propone tour completo con popolazione cibo tipico e la possibilità di suonare il didgeridoo per la modica cifra di 180 dollari australiani. E chissà quanta parte dell’introito va ad aiutare i veri protagonisti.

Ayes Rock – Uluru il monolite sacro

E per fortuna la roccia sacra non è più ‘scalabile’ da fine 2019: gli Aborigeni l’hanno avuta vinta su tutti quei turisti irrispettosi che calpestavano indefessi le altrui credenze. Addirittura google maps ne ha tolto le immagini riprese da chi era andato in cima.

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