di Francesca Orioli
Aprile 2018
La caduta del muro di Berlino è passata anche da Danzica. Gli scioperi ai cantieri navali del 1980 e la nascita del movimento Solidarnosc sono stati picconi non indifferenti nell’abbattimento del muro e dell’Impero sovietico. Il centro Europeo Solidarnosc di Danzica – ECS Europejskie Centrum Solidarności – è il fulcro per conoscere la storia del percorso della Polonia verso la libertà dall’oppressore socialista e tassello importante per le conquiste sindacali in tutta Europa.
Nulla di più lontano dell’immagine grigia e cupa che campanilisticamente associamo alla cultura dei paesi dell’est europeo, questo spazio espositivo è un’esplosione di design: l’interazione e le collocazioni geniali avvolgono lo spettatore, lo coinvolgono negli eventi e lo guidano nella narrazione. Siamo dentro al cantiere navale ‘Lenin’ teatro delle vicende da cui tutto ebbe inizio. il cantiere era enorme, uno dei 5 cantieri navali più grandi al mondo, dozzine di gru per costruire navi, era una vera e propria città nella città con tanto di cinema e biblioteca.
La struttura che ospita il centro è stata architettata ad arte: esterno che sembra ruggine e interno vetro, acciaio e tanto verde nell’atrio quasi a voler amalgamare il passato industriale che con le sue lotte ha portato ad una rinascita. A fianco il cancello 12, icona delle proteste dei lavoratori, con bandiera e immagine di Papa Giovanni Paolo II.
Il percorso espositivo prende forma dalle ribellioni che proliferarono nella Polonia degli anni ’70, ripetutamente e sempre violentemente represse dal regime sovietico, fino allo sciopero del 14 agosto 1980 guidato da Lech Walesa proprio qui nel cantiere navale, che aprì le porte al diritto di sciopero e alla libera organizzazione sindacale. Il visitatore si trova davanti alle casacche degli operai morti nelle proteste degli anni ’70, a tasselli da alzare per scoprire i volti martoriati degli scontri, alla ricostruzione dei banconi vuoti dei negozi, simbolo concreto della povertà e della crisi economica di quegli anni. Ci si ritrova negli uffici amministrativi dei KOR, i comitati di difesa dei lavoratori che spesso dovevano operare nella clandestinità.
C’è il muletto giallo della gruista Anna Valentinovich, il cui licenziamento divenne la scintilla scatenante dello sciopero dell’agosto dell’80. C’è la papamobile, a suggellare l’importanza dell’elezione di un papa polacco nel ’78 che diede man forte e nuova speranza ai movimenti di ribellione e ha rafforzato il senso di solidarietà: gli scioperi nati nei cantieri navali ebbero l’appoggio dei lavoratori di molte altre categorie.
Elemento di spicco del museo sono le tavole in legno con le richieste dei lavoratori, scritte a mano che dal 2003 sono state iscritte come patrimonio dell’Unesco. Tra i più importanti postulati che miravano alla richiesta di dignità umana l’accettazione dei sindacati dei lavoratori e la garanzia del diritto di sciopero.

L’esaltazione dei risultati raggiunti è ben accompagnata da una ingegnosa ambientazione fatta di date impresse sul pavimento, pesanti portoni di fabbriche, maschere da saldatore rivelatrici di immagini, caschetti antinfortunistica appesi al soffitto, mega-schermi alla pareti.

L’attività editoriale di Solidarnosc è ben riportata in mostra: per poco tempo il quotidiano ‘Tygodnik Solidarnosc’ potè circolare, seppur sottoposto a censura, perché i risultati raggiunti ebbero vita breve e le rotative divennero ben presto clandestine. Il sindacato Solidarnosc raccolse a sé oltre 10 milioni di iscritti, al potere centrale la situazione stava sfuggendo di mano e a fine 1981 il governo polacco, forte dell’appoggio sovietico, impose la legge marziale annullando tutti i diritti acquisiti con i patti di Danzica del 1980 e decretando lo scioglimento del sindacato. Di nuovo lotte, scioperi, repressioni, comunicazioni sottobosco. Ma il vento in tutta Europa stava cambiando e la capitolazione dei regimi comunisti si stava avvicinando. Solidarietà internazionale e appoggio della Chiesa furono fondamentali, anche se la valigetta di Calvi e gli assegni dello IOR non sono in esposizione. Fino alle elezioni semi-libere del 1989 (solo il 49% dei seggi era al voto, i restanti erano ipotecati dai comunisti), un evento storico che portò la vittoria schiacciante di Solidarnosc, passato da organizzazione sindacale a movimento politico: un’intera parete è tappezzata dai manifesti elettorali dei candidati affiancata da un’enorme immagine di un cowboy che tiene in mano una scheda elettorale al posto della pistola.
I markettari a Solidarnosc hanno dato una bella spinta e la comunicazione ha giocato un ruolo fondamentale. Già la scritta Solidarnosc è un vero e proprio brand: lettere vicine praticamente addossate che reggono la bandiera della Polonia identificano immediatamente origine e scopo del movimento. E la sua ‘creazione’ è davvero geniale: rossi battiti cardiaci vanno a formare la scritta Solidarnosc: concetti di vita nata dal sangue ben espressi dal suo autore, l’architetto attivista del movimento Czelaw Bielecki. Ora qui un’intera parete con tante schedine rosse e bianche a formare la scritta, in cui ogni visitatore può lasciare il proprio pensiero, il proprio messaggio.
Un viaggio affascinante, un pezzo di storia da approfondire in maniera avvincente e appassionante. Da concludere nella terrazza dell’edificio, con vista verso i cantieri navali della città, passato e presente senza soluzione di continuità per una piccola città laboriosa e concreta che ha contribuito alla dignità dei lavoratori europei.
L’audioguida, anche in italiano è compresa nel biglietto ed è ad identificazione GPS, per cui man mano che ci si sposta all’interno del museo la narrazione si sincronizza e tutta la visita risulta più fluida e più piacevole.
Per tutte le informazioni sugli orari http://www.ecs.gda.pl/en.
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