di Silvia Benaglia
Maggio 2016
Il Selvaggio Blu è un percorso che è stato aperto nel 1987 e da allora gode della fama di “trekking più difficile del Mediterraneo“. C’è stato un periodo in cui ne sentivo parlare spesso, poi mi sembra che questa attenzione si sia un po’ spenta o forse sono io ad essere diventata meno ricettiva. Da qualche parte però il fascino di questo percorso è rimasto latente e quando nel 2016 ne ho parlato con la mia amica R. e ho trovato in lei una compagna di viaggio, è partita la macchina organizzativa.
Il primo problema che abbiamo dovuto affrontare è stato decidere come farlo. Infatti il Selvaggio Blu non è un trekking nella normale accezione del termine. Prevede infatti alcune manovre di corda che per noi non rappresentavano un problema, dal momento che abbiamo una preparazione alpinistica di base. La vera difficoltà sono gli approvvigionamenti. Infatti lungo tutto il percorso si trova pochissima acqua e quella poca spesso è stagnante o di stillicidio; bisogna portarsi un disinfettante per l’acqua e comunque io non l’avrei bevuta volentieri. Dal momento che è praticamente impossibile caricarsi sulle spalle l’acqua necessaria per i giorni di trekking, se si vuole muoversi in completa autonomia, è necessario il giorno prima noleggiare un gommone e lasciare nelle varie calette che si toccheranno acqua e cibo. Tuttavia avevo paura che gli animali o altri escursionisti potessero avere accesso alle scorte e utilizzarle o danneggiarle. Così abbiamo deciso di appoggiarci alla cooperativa Goloritzè http://www.coopgoloritze.com/ che fornisce 3 tipi di servizio:
1) servizio unico: quello che abbiamo scelto noi; in pratica ci si incontra con un operatore che porta il rifornimento di cibo e acqua; la spesa è a carico degli utenti, viene stoccata in scatoloni che vengono portati via mare;
2) servizio doppio: l’operatore ripassa al mattino a porta via quanto non serve nella giornata; col senno di poi, credo che questa sia l’opzione migliore in quanto permette di ridurre un po’ il peso degli zaini che risulta comunque importante data la necessità di portarsi dietro 2 mezze corde per le calate;
3) servizio completo con guida e cuoco.

I TAPPA DA PEDRA LONGA A CALA PEDROSA. Dunque il 28 maggio 2016 io, S e R partiamo da Pedra Longa. Il primo tratto è su sentiero evidente, ma purtroppo noi ci siamo trovati nella nebbia da cui siamo usciti a Cuile des Piggius. In teoria la prima tappa termina qui, ma dato che avevamo gli zaini scarichi (ci avrebbero portato tutto alla sera), avevamo deciso di accorparla alla seconda. In fondo sulla carta sembrava fattibile: solo 14km e 1100m di dislivello. E qui ci siamo scontrati con il primo dei problemi: sul Selvaggio Blu il numero dei km conta pochissimo perché si perde un sacco di tempo. Si perde tempo a cercare la strada perché non ci sono dei veri e propri sentieri e spesso i bolli blu sono stati cancellati. Forse anche in maniera dolosa, visto che nei punti nevralgici mancavano o se ne intravvedevano solo le ombre mentre dove non servivano ce n’erano in abbondanza. Inoltre i tempi riportati sono da gps, al netto delle soste (non vengono calcolati nemmeno i tempi morti necessari per le manovre di corda) e quindi si dilatano enormemente.
Comunque, oltre Cuile des Piggius ci siamo trovati in quella che il libro di Corrado Conca (uno dei pochissimi reperibili sull’argomento; ormai vecchio e datato) definiva come “piana labirintica”. Nemmeno il gps è stato di grande aiuto (ma senza sarebbe stato impossibile; temo che saremmo lì a vagare ancora adesso…) perché il sentiero non c’era più e bastava spostarsi di pochissimi metri dalla traccia che ci si perdeva nei cespugli. Era da tanto che non facevo un viaggio a piedi e mi ero dimenticata del caldo del meriggio, del peso dello zaino, del tempo che scorre in modo diverso. Comunque un passo alla volta, un respiro alla volta, avanzavamo. Abbiamo costeggiato scogliere e siamo scesi dentro a ombrose gole. Abbiamo incontrato ovili e iscale des fustes, delle specie di ponti fatti coi trochi di ginepro che venivano usati dai pastori per superare i punti più ostici e quando ci voltavamo indietro a guardarle, ci sembravano estremamente fragili ed instabili. Siamo arrivati Cala Pedrosa al tramonto, dopo oltre 10 ore di cammino (7 in movimento) in netto ritardo sulla tabella di marcia, rischiando di mancare il rifornimento. Il posto però era incantevole, la solitudine assoluta e la serata attorno al fuoco è stata magica.

II TAPPA DA CALA PEDROSA A CALA GOLORITZE’. Forse la meno faticosa, 12km, 750m di dislivello, 8h (5,30h di marcia) tanto che ho avuto modo di chiedermi se davvero la storia che il Selvaggio Blu ripercorre gli antichi sentieri dei pastori fosse vera. Spesso sale per la linea di massima pendenza, su pascoli davvero magri: possibile non ci fossero luoghi migliori dove far pascolare le greggi? Di certo gli ovili che si incontrano sono suggestivi e la discesa per il Bacu Goloritzè è spettacolare con le guglie di granito in contrasto con il verde della vegetazione e l’azzurro del cielo. Siamo arrivati alla spiaggia di ciottoli di Cala Goloritzè quando la gente se ne andava, una lunga processione in senso opposto al nostro e ci siamo goduti la serata in completa solitudine. Un bagno nell’acqua cristallina, la cena sotto la guglia che domina l’arenile, la notte sotto un cielo completamente sgombro da nubi.


III TAPPA DA CALA GOLORITZE’ A OLOBISSI. Senza ombra di dubbio la più faticosa: per fare 14km e 1200m di dislivello ci abbiamo messo 14 ore. In realtà questa volta a unire le tappe ci hanno pensato quelli della cooperativa. Originariamente la tappa finiva a Bacu Mudaloru dove si può dormire su delle aie carbonili sospese a un centinaio di metri dal mare. Per il rifornimento però il posto è scomodo da raggiungere e quindi la fine della tappa è stata spostata a Olobissi. La tappa risulta molto lunga perché prevede diverse manovre di corda che già non sono rapide, fatte poi con lo zaino pesante diventano eterne. Si passano canali con massi instabili, discese ripide e scivolose a picco sul mare, grottoni suggestivi. Alle 14 eravamo a metà tappa. Alle 17.30 a Bacu Mudaloru. Di nuovo tratti franosi, poi si entra in un boschetto dove il gps segnava una via di fuga. Mancavano ancora 3 ore per arrivare alla fine, eravamo stremati.

Ci siamo guardati e abbiamo deciso di chiamare quelli della cooperativa per farci dare delle indicazioni. E a questo punto mi sono arrabbiata perché chi c’era all’altro capo del telefono non sapeva nemmeno da che parte era voltato. “Dovreste vedere una forcella a sinistra”, ci è stato detto. “In realtà è a destra”, abbiamo risposto. “Ah, sì. Allora andate a destra”. S. ha fatto avanti e indietro più volte alla ricerca della strada giusta, seguendo ripide tracce che sembravano piste di animali più che sentieri. Comunque alla fine siamo arrivati alla forcella, ma invece di scendere si saliva ancora, tra la macchia mediterranea in assenza di sentiero. Imbruniva. S. ha messo giù lo zaino e ha detto: “Non so più cosa fare”. Non ricordo di averlo visto mai sconfortato. E’ lui di solito il pilastro del gruppo, quello infaticabile, quello che ci tira sempre fuori dai guai. Da lassù comunque si vedeva la strada dove dovevamo puntare e così abbiamo fatto, scendendo a caso tra i bassi cespugli. Nonostante la stanchezza, dopo cena, abbiamo anche avuto la forza di meravigliarci davanti all’incredibile stellata che avevamo sopra la testa.
IV TAPPA DA OLOBISSI A CALA SISINE . E’ quella in cui abbiamo battuto ogni record di lentezza: 11 ore per fare meno di 10km e 500m di dislivello. Si svolge per lo più in boschi lungo sentieri finalmente degni di tale nome, intervallati da lunghe e spettacolari calate in corda doppia. Il tratto più difficoltoso per me è stato l’attraversamento di una frana su una labile traccia a picco sul mare.
Con lo zaino pesante mi sentivo instabile e avevo il terrore di scivolare e affogare. Paura irrazionale e sciocca, come tutte le paure, ma che ha ulteriormente rallentato il passo. La tappa finisce a Cala Sisine, mezzaluna di sabbia chiara chiusa tra alte falesie. Qui si torna alla civiltà. Si dorme in campeggio e si mangia al ristorante.
Ufficialmente il Selvaggio Blu finisce qui, ma noi abbiamo deciso di lasciare il grosso del carico al ristorante e allungarlo con un’ULTIMA TAPPA, molto meno selvaggia delle precedenti che però ha fatto molto bene alla nostra autostima perché finalmente su sentiero segnato e con uno zaino accettabile, siamo arrivati a Cala Luna in netto anticipo su quanto preventivato (4h comprese le soste per fare 10km e 700m di dislivello). Volendo si può proseguire oltre, fino a Cala Fuili, ma ci siamo arresi davanti a una birra e all’idea di passare un pigro pomeriggio in spiaggia. Il ritorno è avvenuto con un battello di linea che si è fermato a recuperare le nostre cose e ci ha ricondotto a Santa Maria Navarrese.

Rivedere tutta la strada percorsa dal mare è stato emozionante. Ne abbiamo fatta di strada! E tornando alla civiltà mi sembrava strano, quasi impossibile aver vissuto un’avventura simile a così breve distanza da casa e dalle spiagge che d’estate vengono prese d’assalto da migliaia di turisti.
Per ulteriori dettagli e info vai su https://blog.libero.it/sillylamb/13416567.html
PHOTO GALLERY
Molto interessante e descritto bene il tutto. complimenti per il coraggio! mi piacerebbe tanto fare questa esperienza, ma non sono esperta con la corda…chissà se riuscirò.
Ciao, Elisabetta! Ti consiglio di rivolgerti alla cooperativa citata nell’articolo: con la guida, credo pensino a tutto loro e non serva esperienza alpinistica.