di Sandro Toso
Agosto 2021
Era l’estate del 1991, trent’anni fa, quando portai le ruote della mia storica Tipo attraverso il confine fra l’allora già abbastanza progredita Ungheria e la Romania dove, a un anno e mezzo dalla rivoluzione che aveva posto fine alla venticinquennale dittatura di Ceausescu, lo stato di miseria e devastazione rimanevano inalterati. La gente ti chiedeva caffè, cioccolato, sigarette, beni di cui ci eravamo provvisti sapendo che valevano come merce di scambio più della moneta, come pure eravamo riforniti di scorte alimentari, dato che il cibo che veniva servito nei pochi ristoranti dal mobilio decrepito e dalle inferriate arrugginite, da camerieri vestiti di tristi divise consunte che avrebbero voluto essere eleganti, era solitamente pessimo. E poi il lento viaggiare sulle strade dissestate, districandosi fra carri tirati da cavalli e scoppiettanti Trabant, le lunghissime file per fare benzina, l’attraversamento dei piccoli villaggi dove il passaggio di un’auto occidentale catturava lo sguardo di tutti, le mance in pacchetti di sigarette da dare ai portieri dei decrepiti alberghi perché ti sorvegliassero l’auto durante la notte, pena il rischio di ritrovarla il mattino dopo priva di ruote e tergicristalli, tutto faceva di questo viaggio europeo un’avventura degna di una traversata africana.
La Romania di oggi, stato dell’Unione Europea, è, per fortuna, molto diversa da quella di allora, anche se molti segni del terribile passato se li porterà dietro probabilmente ancora per parecchio tempo.
Ci si arriva con voli low cost, si entra con una semplice carta d’identità, si trova praticamente tutto quello che si può trovare in qualsiasi altra nazione europea, anche se le persone con cui, grazie alla diffusa conoscenza dell’italiano, riusciamo a dialogare, si lamentano delle cattive condizioni economiche, che costringono molti a emigrare, degli scarsi salari e della corruzione.
Fra il ricordo del passato e il desiderio di conoscere la nuova realtà, dall’aeroporto di Bucarest il nostro viaggio comincia.
TRANSFAGARASAN
Qualcuno dice che fu la sua presunta utilità strategica in caso di invasione che spinse Ceausescu a fare costruire questa ardita strada attraverso i monti Fagaras, ma è più probabile che il vero motivo sia stato la sua inestinguibile mania di primeggiare, che lo portò a disseminare il paese di opere faraoniche e inutili.
Quali che siano state le vere ragioni, comunque, la Transfagarasan, utile o no che sia, è oggi una delle strade più spettacolari del mondo, grande attrattiva turistica della Romania e set di numerosi film e documentari televisivi. Partendo da Curtea De Arges, la strada comincia a salire dapprima lievemente, attraverso foreste di sempreverdi, bacini idroelettrici e strette vallate, poi si inerpica decisamente attraverso decine di tornanti sulla montagna brulla fino a oltre duemila metri di altezza, per poi ridiscendere per altri innumerevoli tornanti, sovrastata da un vertiginosa funivia, verso la pianura.
Situato in posizione strategica, a picco sopra la ripida vallata del fiume Arges, il castello di Poienari, o meglio ciò che ne rimane, offre una vista incantevole. Terminata la lunga scalinata per arrivarci, la prima immagine che ci accoglie è quella di due manichini sospesi nel vuoto, infilzati su due lunghi pali, a rammentarci chi fu il terribile castellano che lo abitò: Vlad Tepes III, l’Impalatore, passato alla storia e alla leggenda come Dracula, ossia figlio del demonio. Eroe nazionale e della cristianità per alcuni, feroce despota per altri, Vlad fu probabilmente entrambe le cose, certo fu colui che riuscì, disponendo di forze militari molto inferiori, a frenare l’avanzata in Europa dei turchi, celebri per la loro ferocia, contrapponendone una ancora maggiore, i manichini assieme ad altri attrezzi di tortura qui esposti illustrano chiaramente in che modo venissero trattati i suoi nemici interni ed esterni.
MARAMURES
In questa regione di montagne ricoperte di boschi, a ridosso del confine ucraino, il legno fa da protagonista assoluto. Di legno sono le case, le chiese, alcune riccamente decorate con campanili alti fino a 70 metri, i cimiteri, come quello “allegro” di Sapanta, dove ogni tomba è decorata con immagini relative al lavoro che il defunto svolgeva in vita.
Ed è sempre la legna che alimenta la piccola locomotiva del Mocanita, il trenino a vapore a scartamento ridotto, un tempo usato per il trasporto del legname, oggi attrattiva turistica, che alla velocità di una trentina di chilometri all’ora ci trasporta attraverso villaggi e foreste.
Qui ritrovo qualcosa della Romania rurale che avevo visto trent’anni fa, i prati strappati alla foresta e cosparsi di covoni di fieno, i carri a trazione animale, le famiglie al lavoro nei campi.
Alla chiesa di Botiza, la domenica mattina, uomini e soprattutto donne si recano vestiti con i loro costumi tradizionali ad assistere alla lunghissima funzione, celebrata con gran spargimento di incenso dai pope nelle loro vesti riccamente decorate. Una di queste donne, sentendoci parlare in italiano, ci chiede di dove siamo, e ci racconta di suo figlio che vive a Lucca. L’Italia è popolare in Romania, per la comune origine neolatina delle nostre lingue e, naturalmente, per l’alto numero di rumeni che vivono o hanno vissuto in Italia, in ogni tappa del nostro viaggio troviamo persone che parlano volentieri con noi, ci chiedono come vanno le cose dalle nostre parti, ci raccontano la situazione loro e del loro paese, i loro problemi, le loro speranze, ci danno informazioni spicce ma interessanti sul posto, qualcosa da visitare di poco noto, qualche locale tipico anche se non riportato sulle guide, piccole cose che ci aiutano nel nostro desiderio di cercare per quanto possibile di vivere e non solo visitare i luoghi.
Al mercato del bestiame di Dragomiresti, il lunedì mattina, contadini e allevatori dall’aspetto rude contrattano e bevono insieme, fra mucche e cavalli, mentre sono generalmente le donne a gestire le bancarelle di generi alimentari e prodotti di artigianato.
La ricostruzione forzata che l’era comunista ha imposto a gran parte del paese probabilmente non ha fatto tempo ad arrivare qui fra queste verdi colline, le abitazioni di legno si integrano perfettamente con il paesaggio agreste e boschivo, i fienili, i carretti, il bestiame al pascolo e la tranquilla vita dei villaggi danno al Maramures un aspetto gradevole e rilassante, lontanissimo dalle città pianificate dal regime che andremo presto a conoscere.
BUCAREST
Più che in ogni altro angolo del paese, la folle megalomania di Ceausescu è qui ben visibile, avendo stravolto completamente la città, in gran parte rasa al suolo e ricostruita secondo i discutibili gusti del dittatore.
Per arrivare in centro si percorrono chilometri di quartieri di palazzoni di stampo sovietico tutti uguali, alcuni più o meno restaurati, altri cadenti, ravvivati dalle insegne dei negozi moderni, ma dallo stampo di regime incancellabile. L’enorme palazzo diventato simbolo di Bucarest è stato costruito – ci racconta la guida che abbiamo ingaggiato per un parziale tour della città – radendo al suolo il quartiere che qui si trovava, i cui abitanti vennero cacciati dalle loro abitazioni per essere portati, anzi deportati, nei palazzoni. Non fu consentito loro di portarsi appresso i loro animali, e le migliaia di cani che dovettero essere abbandonati dettero origine al fenomeno del randagismo, che ancora affligge la città.
L’edificio impressiona per le dimensioni, le immense scalinate di marmo, i lunghissimi corridoi e le grandi sale sovrastate da grandiosi lampadari, dopo la caduta del regime viene utilizzato per ospitare l’attuale parlamento rumeno e per conferenze, la maggior parte dello spazio è comunque di solito a disposizione per le visite turistiche.
Di fronte alla balconata centrale si gode la prospettiva di quello che fu il Viale Della Vittoria Del Socialismo, rigorosamente voluto largo un paio di metri più dei Champs-Elysées di Parigi, terminante dalla parte opposta in una serie di grandi fontane. Con queste grandiose opere, costate immensi sacrifici alla popolazione, Ceausescu è riuscito comunque a lasciare una traccia indelebile del suo passaggio, chiunque visiti Bucarest non può non rivolgere il pensiero a lui, e questo fu probabilmente il suo più grande desiderio in vita.
Una Bucarest più umana la si trova nelle vivace vita notturna, le grandi isole pedonali affollate e piene di ristoranti e bar, nel grande mercato coperto di periferia, risuonante delle urla di simpatici venditori, e nei grandi giardini, dove è piacevole prendersi una rilassante pausa.
E con le giornate e le serate a Bucarest è venuto anche il momento di salutare questa bella e tormentata terra che è la Romania, piacevole ritorno per me, e, a quanto mi è parso, piacevole scoperta per i miei compagni di viaggio.