di Silvia Benaglia
marzo-aprile 2019
Nel cuore del Giappone c’è un importante centro spirituale verso il quale convergono numerosi pellegrinaggi. Sono i cammini del Kumano Kodo: in genere brevi (dai 2 ai 4 giorni), addomesticati per i turisti (offrono anche un servizio di trasporto bagagli e numerosi alloggi), sono stati gemellati col Cammino di Santiago.
C’è poi l’Ominesan Okugakemichi che secondo me è uno dei segreti meglio conservati del Giappone. E’ il cammino degli Yamabushi, i seguaci dello shugendo che è la dottrina più antica del paese del Sol Levante. Letteralmente significa ”la via del potere spirituale mediante l’ascesi” e viene definito come “the philosophy of putting yourself in nature and reflecting on what you feel”. E’ pertanto un percorso rimasto invariato nei secoli, selvaggio, solitario, di cui non si trova nulla in una lingua comprensibile. L’ho scoperto cercando informazioni su un trekking citato su una vecchia guida della Lonely (“Trekking intorno al mondo”, 2012) che a sua volta rimandava ad un’altra guida non più edita (“Hiking in Japan”). Il fatto di trovare pochissimo e di trascorrere 6 giorni lontano da tutto, mi ha intrigato e ho iniziato a cercare. Internet e Google Traduttore hanno semplificato molto il modo di viaggiare e il 28 marzo siamo partiti in 4, 2 donne (io e CdS) e 2 uomini (S e O), con in mano un roadbook in giapponese (tradotto in qualche modo) e una traccia gps un po’ sommaria. In fondo era di più di quanto avevano gli esploratori dei tempi passati.

INFORMAZIONI PRATICHE:
- Quando andare: il periodo ufficiale di percorrenza va dal 15 maggio a inizio ottobre; in tale lasso di tempo alcuni rifugi sono custoditi anche se non servono pasti. Alcune persone vanno al di fuori di tale periodo, verso fine aprile oppure durante il mese di ottobre. Noi siamo andati tra fine marzo e inizio aprile ed è effettivamente presto: l’inverno 2018-2019 è stato poco nevoso e abbastanza mite per cui non abbiamo trovato neve sotto i 1500m, ma sopra i 1700m si sono rivelati utili i ramponcini da escursionismo
- Trasporti: Yoshino è collegato a Kyoto dalla linea ferroviaria; Kumano Hongu è servito da diversi linee di autobus che permettono di raggiungere gli altri centri della regione (http://www.tb-kumano.jp/en/transport/ )
- Dati tecnici: in totale abbiamo percorso 96km e 7400m di dislivello positivo in 7 giorni di cammino. I sentieri sono ben segnati e alla maggior parte dei bivi sono presenti delle colonnine segnaletiche in doppia lingua (giapponese e inglese). Ci sono alcuni tratti attrezzati che, insieme alle difficoltà logistiche e alle condizioni incontrate, mi fanno classificare il percorso come EE.
I tempi che riporto sono comprensivi di pause e sono circa 1,5 volte superiori a quelli del nostro roadbook (che infatti impiegava 6 giorni). Credo che ciò dipenda dalle condizioni (la neve ci ha rallentato) e dal fatto che in 4 ci si muove più lentamente che da soli, soprattutto sui tratti attrezzati. - Equipaggiamento: l’Ominesan Okugakemichi è un percorso che richiede di essere autosufficienti per cui, oltre al normale equipaggiamento da trekking, è necessario avere con sé tenda (alcuni dei bivacchi sono molto piccoli e con la tenda si ha la possibilità di adattare meglio il trekking alle proprie esigenze; lungo il percorso si incontrano numerosi posti dove è possibile montarla), sacco a pelo e materassino, fornelletto e cibo (consiglio di calcolare nelle scorte alimentari almeno un giorno in più in caso di maltempo o se, come è capitato a noi, si procedesse più lentamente del previsto). E’ anche utile una tanica pieghevole perché l’acqua non è sempre vicino a dove si dorme.
- Cartografia: su Amazon sono reperibili cartine della zona, ma sono tutte in giapponese; noi abbiamo utilizzato l’app View Rangers sui cellulari scaricando le mappe per uso off line in quanto spesso il cellulare non ha campo. Avevamo inoltre un Garmin In-Reach che ci permetteva di comunicare la nostra posizione ai famigliari in Italia
I GIORNO, DA YOSHINO AL TEMPIO DONJI (14km, 10h30, D+1440m, D-533m)
Arriviamo a Yoshino in treno. Il paese è uno dei luoghi famosi per ammirare la fioritura dei ciliegi, ma da qualche giorno il Giappone è investito da correnti fredde che hanno bloccato lo schiudersi dei boccioli. Il cielo è grigio, pioviggina, gli alberi sono spogli. Ci incamminiamo su per la collina lungo la strada asfaltata perché la funicolare che doveva evitarci i primi 150m di dislivello è chiusa. Attraversiamo il centro abitato, una strada fiancheggiata da case basse e qualche negozio, e con qualche difficoltà troviamo la fermata dell’autobus che in 20 minuti ci porterà ad un passo dove inizierà il nostro cammino. Il morale è alto: da lì il roadbook dice che mancano 6h30 alla fine della tappa. Sono da poco passate le 10, contiamo di montare il campo per le 17. Io mi pregusto un po’ di stretching e meditazione alla fine di una lunga giornata di marcia. Invece gli zaino sono pesanti e le salite ripide. Ben presto ci accorgiamo che non riusciamo a stare nei tempi. CdS è poco allenata e procede molto piano. Superata la prima cima, pranziamo in un piccolo tempio respirando il profumo dell’incenso. Da qui ci sono 2 possibilità: S e O proseguono lungo il crinale, mentre io e CdS prendiamo il sentiero basso che dovrebbe farci risparmiare 300m di dislivello.

In realtà non so quanto sia stata una buona idea: in molti punti è franato ed esposto e la percorrenza con gli zaini pesanti non è rapida né agevole. Ci riuniamo davanti a un tori dove un cartello vieta alle donne di proseguire.
Il Monte Omine è una montagna sacra, simile al Monte Athos in Grecia, a cui è vietato l’accesso alle donne. Sapevo del divieto, ma contrariamente a quanto mi aspettavo il gps dice che non ci sono alternative. Decidiamo dunque di proseguire tutti insieme confidando nel fatto di essere fuori stagione. Il bosco intanto si ammanta di nebbia diventando suggestivo e spettrale. Superiamo un breve tratto attrezzato, poi cala il crepuscolo. Proseguiamo per un po’ alla luce delle frontali e raggiungiamo il tempio Donji. Ci rendiamo conto che è impossibile arrivare a quello che ritenevamo la fine della tappa: da lì mancherebbe ancora 1h30. Decidiamo pertanto di fermarci e montare le tende sotto la struttura in lamiera del tempio. Altro che stretching e meditazione! Sciogliamo e filtriamo della vecchia neve per avere l’acqua necessaria per prepararci la cena e collassiamo nei sacchi a pelo.
II TAPPA: DAL TEMPIO DONJI ALLE PENDICI DEL MONTE MISEN (12km, 12h, D+ 776m, D-800m)
Ci svegliamo all’alba, facciamo colazione, smontiamo il campo, salutiamo la statua della divinità che incontreremo più volte lungo il cammino e partiamo. In breve raggiungiamo la vetta del Monte Omine occupata da un grande complesso monastico al momento completamente chiuso e deserto. Incontriamo un paio di escursionisti che non sembrano sconvolti dalla presenza di 2 donne. Poco oltre finalmente siamo a quella che doveva essere la fine della prima tappa. Ci abbiamo messo 2h30. Il bivacco è piccolo, con la porta rotta e i tatami sporchi, ma sorge in un luogo incantevole vicino a un gorgogliante ruscello. Ci fermiamo giusto il tempo di lavarci i denti e proseguiamo. Nelle prime ore del pomeriggio raggiungiamo un’altra capanna, molto più grande e bella, vicino a una piccola sorgente. La tentazione di fermarsi è tanta, ma è ancora presto. Dal roadbook capiamo che c’è un posto tenda un po’ oltre e decidiamo di proseguire per cercare di contenere il ritardo. In effetti ci arriviamo che c’è ancora chiaro. In teoria la fine della tappa doveva essere sulla vetta del Monte Misen che si staglia maestoso davanti a noi. Inutile dire che ci sembra lontanissima e impossibile da raggiungere al momento. Ceniamo e ci addormentiamo sotto a una meravigliosa stellata.

III TAPPA: DALLE PENDICI DEL MONTE MISEN A UNA RADURA NEL BOSCO (12km, 11h, D+852m, D-578m)
Quando ci alziamo il mattino dopo, il Monte Misen mi sembra un po’ più vicino della sera precedente. In realtà lo raggiungeremo quasi a metà giornata dopo un sacco di saliscendi e per il pendio finale saranno utili i ramponcini. In vetta veniamo accolti dalla tormenta. Ci fermiamo il tempo di mangiare qualcosa in uno degli edifici e proseguiamo. Poco dopo toccheremo il punto più alto del trekking a quota 1914m.
Lungo l’Ominesan non ci sono panorami mozzafiato, si cammina per lo più nel bosco (Okugakemichi significa infatti “dalle pendici rivestite da fitti boschi”) e quando questi si aprono, l’occhio non incontra alcun segno di presenza umana fin dove riesce a spingersi; solo montagne azzurre che si accavallano e si rincorrono. Si cammina per lo più lungo crinali con infiniti saliscendi e a volte occorre superare enormi alberi caduti.Quel pomeriggio veniamo colti dalla pioggia e, ancora una volta, quando raggiungiamo una piccola capanna, CdS vorrebbe fermarsi. La convinciamo a proseguire e, superato l’ennesimo costone, piantiamo le tende in una piccola radura vicino a una magra sorgente. La notte sarà tempestosa. Il vento sembra voler strappare le tende e mi sveglia più volte. Continuo a pensare a Dorothy e alla casetta che dalle praterie del Kansas viene trasportata nel regno di Oz.

IV TAPPA: DALLA RADURA NEL BOSCO ALLA CAPANNA YOKEI (13km, 10h, D+821m, D-1496m)
La mattina dopo ci svegliamo nella tormenta. Il mio umore è sotto i piedi: sono convinta che non arriveremo mai a Kumano Hongu e la tappa di oggi è, secondo il roadbook, la più impegnativa con tratti esposti, attrezzati e definiti “pericolosi in caso di vento”. Propongo di tornare alla capanna incontrata il giorno prima, aspettare che il tempo migliori e studiare una via di fuga. Gli altri invece insistono per proseguire dicendo: “Se vediamo che è davvero pericoloso, siamo sempre in tempo a tornare indietro”. Così indossiamo gli scarponi induriti dal gelo (una vera e propria impresa… Ma come si fa sugli 8000?) e partiamo. Nella neve. Sferzati da un vento rabbioso. Però avanziamo e non troviamo difficoltà che ci obblighino a ritirarci. Il tratto più difficoltoso sono gli ultimi 150m che ci separano dalla vetta del Monte Shakka perché nonostante la quota ridotta (la vetta è 1800m), sul versante nord la neve è ghiacciata, ma grazie ai ramponcini e alla guida sicura di S arriviamo in cima. Sbuchiamo sotto lo sguardo attonito di 3 giapponesi impegnati in un’escursione giornaliera che tirano fuori un thermos e ci offrono un caffè caldo. Siamo euforici. Credo sia stato uno dei momenti più intensi d tutto il trekking. Iniziamo la discesa nell’erba alta tra gli alberi che, rivestiti dalla galaverna, ci regalano un hanami personale, effimero, bellissimo. Superiamo l’ennesima capanna mentre il sole fa capolino tra le nuvole. Superiamo anche un posto tenda con l’idea di raggiungere il lodge successivo. I saliscendi però sono estenuanti, cala il buio e io sono molto stanca. Gli altri mi rincuorano, mi spronano. S mi prende anche lo zaino e facendo giochi di parole, alla fine arriviamo. La capanna è più piccola di come me la immaginavo e puzza un po’ di fumo, ma dormire con un tetto sopra la testa ci sembra un lusso impagabile.
V TAPPA: DALLA CAPANNA YOKEI AL TRALICCIO DELL’ALTA TENSIONE (12km, 11h, D+1073m, D-1082m)
Questa mattina siamo partiti più tardi del solito: non avevamo voglia di lasciare la capanna. Ma bisognava proseguire e alla fine ci siamo incamminati. La tappa di oggi sarà un continuo saliscendi nei boschi senza punti di riferimento. Saliamo una cima e ce ne troviamo davanti una identica. Così per tutto il giorno, in ottemperanza a un principio zen per cui si cammina, ma sembra di stare sempre nello stesso luogo. Il sentiero che sta dietro al tempio delle Porte Rosse di Kyoto è stato costruito secondo questo precetto. Ben presto abbiamo smesso di contare le cime, andavamo avanti in silenzio risparmiando il fiato per la salita successiva, osservando le forme bizzarre degli alberi. Eravamo sferzati da un vento gelido che faceva turbinare minuscoli fiocchi di neve nell’aria.
Una delle cose che ricorderò di questo viaggio sarà il freddo: eravamo ben equipaggiati, ma non ho mai camminato con così tanti vestiti addosso.
Superato un tratto attrezzato, avremmo dovuto trovare una sorgente dove approvvigionarci d’acqua. Il roadbook la indicava con un simbolo che noi avevamo interpretato come “magra”, ma visto che fino ad allora non avevamo avuto problemi, non ce ne siamo preoccupati. Invece ci siamo trovati di fronte a un antro muschioso da cui colava acqua di stillicidio impossibile da raccogliere. Poco oltre sembrava esserci un sentiero che scendeva in fondovalle dove scorreva un fiume. Nonostante fosse ormai quasi sera, abbiamo deciso di dirigerci là. Il buio ci ha colti nel bosco scosceso, sotto una nevicata, proprio quando il sentiero si faceva più esile per poi scomparire. Il fondovalle era ancora lontano e il rischio era di passare la notte a vagare nel bosco per cui abbiamo deciso di risalire. Abbiamo piantato le tende nei pressi di un traliccio dell’alta tensione a breve distanza dalla traccia principale e abbiamo sciolto la neve per ottenere l’acqua che ci serviva.
VI TAPPA: DAL TRALICCIO DELL’ALTA TENSIONE AL MONTE OMORIYAMA (15km, 9h, D+976m, D-1044m)
La mattina seguente, nonostante la quota ormai contenuta (eravamo sui 1000m), ci svegliamo con oltre 10cm di neve fresca che rende il paesaggio magico e ci fornisce l’acqua necessaria per cucinare la colazione e riempire le borracce. Torniamo sul percorso principale e proseguiamo. I sentieri di oggi sono veloci e avanziamo più spediti dei giorni precedenti. Incontriamo per la prima volta l’asfalto e per pranzo siamo al tempio Tamaki. E’ una struttura antica, immersa nel bosco dove si respira un’aria di pace. Fornisce alloggio ai pellegrini, ma è necessaria la prenotazione; non ha indirizzo e-mail e non parlano inglese. E’ vietato piantare la tenda nei pressi del complesso, ma è possibile farlo nei parcheggi che si trovano a breve distanza. In uno di questi sorge un minuscolo ristorante che serve ramen. Mi è sembrato una delle cose più buone che abbia mai mangiato.
Ormai siamo in dirittura d’arrivo: le colonnine riportano la scritta Kumano Hongu a meno di 10km. Sono misurati in linea d’aria, ma 5 giorni fa davvero non credevo che sarei arrivata.
Dopo esserci riscaldati e riempiti lo stomaco, ripartiamo e piazziamo la tenda sulla cima arrotondata del Monte Omoriyama. Forse perché iniziamo a rilassarci, ma questa sarà la notte in cui soffriremo di più il freddo. Ma ormai non è più importante.
ULTIMA TAPPA: DAL MONTE OMORIYAMA A KUMANO HONGU (12km, 8h, D+390m, D-1220m)
Anche questa mattina mettere gli scarponi ghiacciati sarà un’impresa, ma ormai non è più importante. Pero poco dopo la partenza CdS si fa male a un ginocchio e tutto diventa più difficile e penosamente lento. O e S si dividono il suo zaino, ma anche così la velocità di marcia è ridottissima. Quando il bosco di apre e vediamo finalmente il nostro punto di arrivo, mi viene lo sconforto: mi sembra lontanissimo. Un passo alla volta, un respiro alla volta però scendiamo. Attraversiamo il fiume, passiamo sotto un grande tori circondato da ciliegi in fiore e… Siamo arrivati! Dopo tanto freddo mi sembra strano che qui sia primavera. Non ci resta che attraversare il piccolo centro abitato, salire le scale che portano al santuario e varcare il portale. Battiamo 2 volte le mani per avvisare gli dei della nostra presenza, ci inchiniamo e li ringraziamo per averci donato questa incredibile avventura.

Per un trekking più tranquillo lungo il Kumano Kodo: PELLEGRINAGGIO LUNGO LE ANTICHE VIE DEL KUMANO KODO
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