di Francesca Orioli
Gennaio 2018
La spinta a visitare il museo della Scala con una guida esperta me l’ha data il teatrante che ci ha condotti attraverso le poltrone, le storie e le curiosità del Teatro San Carlo di Napoli. Tale è stata la sua spocchia nel decantare il regio teatro partenopeo e la foga nel sminuire il simbolo milanese, che ho pensato bene di appurare qualche verità.
E quindi via al match a colpi di primati. La prima sul palco va a Milano o a Napoli?
Un dato è certo: il San Carlo è il più antico teatro d’opera funzionante d’Europa. Fu fondato nel 1737 per volere del re Carlo di Borbone che lo inaugurò il 4 novembre, giorno del suo onomastico, dopo solo 8 mesi di lavori. La Scala è del 1776, eretta a seguito dell’incendio del teatro regio-ducale annesso al Palazzo Reale. La sua costruzione ebbe luogo via dei Giardini, l’attuale via Manzoni, al posto della chiesa di Santa Maria della Scala, fondata dagli Scaligeri che si erano imparentati con i Visconti. Fu realizzata in due anni scarsi e venne inaugurata il 3 agosto del 1978.
Insomma, c’è da dire che furono più svelti i napoletani.

Se l’architettura interna a ferro di cavallo adottata dal San Carlo divenne modello per tutti i successivi teatri, alla Scala si deve il primato della funzionalità dell’esterno.
L’architetto designato fu il Piermarini, allievo del Vanvitelli (a sua volta artefice della Reggia di Caserta…tanto per ricordare il sud) . L’imperial-regio architetto Piermarini diede un’impronta molto sobria ed equilibrata al teatro milanese. Considerato che l’edificio era prospiciente ad una stretta via (non c’era allora la piazza), creò un portico che consentisse il passaggio delle carrozze e concepì la facciata in modo che potesse essere vista di lato.
I napoletani vantano che Stendhal abbia così descritto il San Carlo: “non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea” ma pare che abbia detto una cosa molto simile anche a proposito della Scala “il più bel teatro del mondo, quello che dà il massimo godimento musicale. È impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo”. Paraculaggine o indecisione?

L’aria altolocata che si porta dietro la Scala non la caratterizzò sin dall’inizio: prima di divenire teatro pubblico, nel 1921, era appannaggio esclusivo delle famiglie patrizie che la utilizzavano come luogo di incontri, di amoreggiamenti e di giochi d’azzardo: si bighellonava nei corridoi per ore e ore, solo a momenti si tendeva l’orecchio verso l’opera in corso. Si narra ancora della bisca in cui Alessandro Manzoni venne spellato vivo da Vincenzo Monti.
Gli attuali vani guardaroba, alle spalle del palchi, erano delle cucine al servizio degli ospiti dei singoli palchetti, e non mancavano all’interno del teatro vinerie, osterie e ristoranti per ammazzare il tempo e godersi la vita.
Non esistevano i posti in platea, quello spazio era riservato ai servi, poiché ai nobili era necessaria la privacy nei palchetti. Privacy che invece non poteva essere rispettata al San Carlo, dove in ogni palco era collocato, e lo è ancora tutt’oggi, uno specchio, per poter onorare la regola di non applaudire mai prima del re, guardando l’atteggiamento del sovrano proprio attraverso gli specchi.
Le attività del gioco d’azzardo erano fonte di notevole introito per l’amministrazione economica della Scala, cosi come l’affitto dei palchi e ciò permetteva l’autofinanziamento.
La musica cambiò con Toscanini che giunse a dirigere alla Scala nel 1898. Gli anni della sua presenza riportarono al centro l’importanza della musica e dell’opera. Fu lui a creare il cosiddetto ‘golfo mistico’ ovvero il piano sotto al palco per l’orchestra per migliorare la percezione acustica. Abolì l’usanza del bis per non interrompere la drammaturgia dell’opera e pretese la puntualità nell’ingresso a teatro per non arrecare disturbo. Vietò alle dame di indossare il cappello, durante lo spettacolo: considerando che la moda dell’epoca li prevedeva più simili a foreste tropicali con tanto di tucani e calopsiti, che a copricapi, fu una saggia decisione.
Fu Toscanini a battersi per rendere pubblico il teatro e non più solo appannaggio delle famiglie nobiliari. Vero è che la democrazia però non è arrivata neppure ai giorni nostri: la Scala rimane il teatro più classista al mondo non solo per i prezzi proibitivi, che creano una selezione naturale del pubblico, ma anche per la segregazione vigente tutt’ora degli ingressi. Infatti se si acquista un biglietto per gli ordini superiori, la piccionaia per intenderci, non si accede dall’ingresso centrale, ma dalle porte di servizio e ci si potrà sgranchire le gambe in un foyer di serie B. E’ considerato un teatro reazionario, nel cartellone solo opere classiche, è bandita ogni avanguardia. Il pubblico della Scala è anche il più tremendo del mondo e lo è sempre stato: prima della ‘raddrizzata’ impressa da Toscanini, si lanciavano oggetti e si facevano urla peggiori che in curva sud, ma ancora oggi il pubblico rimane estremamente critico, nel pieno rispetto della logica milanese del “pago pretendo”
Forse forse mi è più simpatico il San Carlo.
La Scala ha il primato dell’uso dell’elettricità nei teatri italiani: fu introdotta nel 1893 nel maestoso lampadario al centro del soffitto, sicuramente uno dei simboli del Tempio dell’opera. Nell’ottocento le fiammelle ad olio, che lo costituivano, bruciavano protette in ampolle di vetro di murano che lo resero talmente pesante da rischiare la scena iniziale del Phantom of the Opera.
Oggi il celebre lampadario è copia dell’originale e i semicerchi, che racchiudono le lampade elettriche, sono di una speciale resina plastica che lo rende più leggero. Il lampadario, già all’epoca dell’alimentazione a gas, produsse scompiglio tra le dame dell’epoca perché metteva in evidenza i difetti fisici e le pelli non più in fiore.
La storia affascinante della Scala continua oltre i palchi, tra le salette del museo, che raccoglie oggetti il cui filo conduttore è il riferirsi alle arti performative: canto musica e teatro.
Fra i pezzi più preziosi c’è un virginale, uno strumento musicale in legno finemente dipinto che riporta le scritta sulla tastiera ‘se la tua mano non è capace, non toccarmi’. Curiose le tabacchiere da sniffo a soggetto musicale, perché sniffare il tabacco rendeva più intelligenti, ed erano oggetti tipici da donna. Ciò spiega molte cose.

Folta è la collezione di quadri che ritraggono compositori e cantanti dell’epoca e sono lo spunto per racconti curiosi: l’accortezza di ricoprire di paglia la strada in prossimità della stanza d’albergo dove Verdi giaceva sul letto di morte, affinché lo scalpiccio degli zoccoli non arrecasse disturbo al maestro, storie delle cantanti d’opera che erano viste come dive ma al contempo avevano la fama di donne di strada o l’usanza per le dame di indossare una maschera per entrare a teatro per coprirsi il volto.
Se al San Carlo tutto è narrato come imponente, superlativo e magnificente, la storia della Scala è raccontata con i suoi chiaro-scuri, i suoi contrasti, gli amori e i dissapori, gli screzi tra direttori d’orchestra e impresari. C’è da dire che entrambe le guide turistiche hanno incarnato la cultura della terra di origine del ‘proprio’ teatro: sceneggiata napoletana versus sobrietà un po’ radical chic milanese.