di Francesca Orioli
Novembre 2018
Immergersi nei bassifondi di Berlino fa emergere storie e segreti: i sotterranei della città che ha segnato la storia, ne hanno viste di cotte e di crude. Nel sottosuolo si cercava rifugio dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, si tentava la fuga da Est a Ovest ai tempi del muro e si consumava il feroce spionaggio padre padrone sotto la cortina di ferro.
Infinite vicende, storie ed episodi si scoprono grazie ai percorsi promossi dall’associazione Berliner Unterwelten che propone visite guidate (in diverse lingue, anche in italiano) sul sito https://www.berliner-unterwelten.de/it.html.
Sul sito si trovano le varie tipologie di percorsi, purtroppo la prenotazione non è consentita, comunque noi abbiamo trovato posto tranquillamente (peraltro in giorni di ‘ponte’ per gli italiani). Il ritrovo per le visite è presso la sede dell’associazione vicino alla fermata Gesundbrunnen della metropolitana e della suburbana. Prima di organizzare meglio leggere sul sito le condizioni di accesso (età minima, abbigliamento, divieto di fare fotografie etc, ben dettagliate anche in italiano).
Abbiamo partecipato al tour M ‘Il muro visto da sotto’ e al tour 1 ‘Mondi Oscuri’ entrambi molto interessanti. A tenere alta la nostra attenzione, più che gli ambienti in sé, sono le storie che essi racchiudono, raccontate con passione dalle guide, perché i sotterranei di Berlino sono davvero specchio e anima di assurdità che solo la perversa mente umana può creare.

Nella notte del 13 agosto 1961 Walter Ulbricht presidente del Consiglio di Stato della Repubblica Democratica Tedesca, la Germania orientale sotto il dominio russo, diede ordine di dividere la città, inizialmente con rovi di filo spinato, per fermare definitivamente e con la forza, i flussi migratori dei cittadini che da Est, sottoposti al regime sovietico, sceglievano di vivere nei quartieri Ovest, attirati dall’appeal del mondo occidentale, dalle elargizioni americane e dagli stipendi più alti. Venne emesso un decreto legge che impediva di passare da Est a Ovest e vennero posizionate 25.000 guardie armate per renderlo applicabile. Non che si fosse a digiuno di confini spinati: tutta la Germania dell’Est era circondata da barriere, mancavano giusto quei 44 km che fino ad allora consentivano un po’ di interazione tra i berlinesi.
In breve tempo il filo spinato di Berlino venne sostituito dal muro, anzi due perché in mezzo venne creata la cosiddetta ‘striscia di azione’, un corridoio cuscinetto sotto la giurisdizione di Berlino Est in cui la polizia poteva intervenire. Fucilando. Qui le pareti erano dipinte di bianco per individuare i fuggitivi notturni e il terreno era sabbia per evitare che guardie accondiscendenti facessero finta di ‘non vedere’ eventuali fuggitivi ‘amici’, le impronte sul terreno non avrebbero lasciato spazio a dubbi. Venne ben presto ribattezzata la ‘Striscia della morte’ e fu un bel deterrente alla fuga. Solo all’inizio la gente riuscì a scappare, quando ancora si stavano approntando le misure di sicurezza: scene di lanci con materassi (o senza) dalle finestre dei palazzi che davano su Berlino Ovest, sono riportate in fotografie lungo il percorso di visita. Successivamente solo pochissimi intrapresero questa opzione per fuggire, i controlli erano troppo serrati e la probabilità di successo infinitesimale mentre si andava incontro a morte certa.

I tombini e la rete fognaria vennero utilizzati come vie di fuga: era necessario un metodo per non lasciarli aperti per non destare sospetti ma un tombino di ferro pesa sui 130 kg e sarebbe impensabile tirarselo sopra la testa per richiuderlo. Si creò una rete di aiutanti: studenti dell’Ovest che avevano il visto di passare giornalmente a Est, per guadagnarsi qualche soldo si facevano ingaggiare come chiudi-tombini. Due ragazzi sollevavano il tombino durante la notte, il fuggiasco fuggiva e loro richiudevano: in questo modo circa 800 persone sono riuscite a svignarsela. Ma il metodo ingegnoso venne presto scoperto dalle spie infiltrate.
Scoperte le canalizzazioni esistenti, si cominciò a scavarne di nuove: chilometri e chilometri di tunnel che partivano da Ovest e raggiungevano l’Est per portare nel mondo ‘moderno’ i famigliari. Ma bisognava scavare in profondità, 15 metri sotto la falda acquifera.
Furono 74 i tentativi di costruzione ma solo 7 andarono a buon fine: il Tunnel 4 in Bernauer strasse; il Tunnel 29, in cui furono coinvolti due ingegneri italiani e grazie al quale riuscirono a fuggire 29 persone, le cui vicende furono narrate nel film ‘Il tunnel della libertà’; il Tunnel 57, che permise a 57 fuggitivi la vittoria verso ovest nell’ottobre del 1964.

Con le visite ai sotterranei si scopre la storia delle stazioni fantasma della metropolitana, le Geisterbahnhof. Con il muro la rete metropolitana venne divisa in due tronconi ma alcune linee che servivano Berlino Ovest, attraversavano di fatto nel loro tragitto anche territori Berlino Est. Queste fermate vennero pertanto sprangate (come Alexanderplatz) e pattugliate. Bernauer Strasse e Nordbahnhof erano le più difficili da gestire perché passavano sotto la linea di azione e si temeva che anche le guardie potessero scappare. Sotto queste metro di confine i controlli erano ancora più serrati che altrove, le ‘normali’ guardie erano supervisionate da guardie della Stasi, un corpo di fidatissimi. In mostra è esposto un ‘letto di Stalin’, una pesante griglia di ferro con spuntoni attraversata da fili dell’alta tensione che veniva posta nei passaggi sotterranei bassi e stretti per evitare che potessero essere utilizzati per la fuga.
Ma il timore vero legato alle interazioni tra Est e Ovest non era tanto per i singoli individui che avrebbero potuto raggiungere i parenti dall’altra sponda del muro quanto piuttosto la fuga di informazioni soggette a spionaggio, secondo le dinamiche della Guerra Fredda. E questo valeva anche da Ovest a Est.
Era l’epoca della propaganda über alles: all’impresa della fuga si affiancavano storie di condizionamento ideologico. Erano gli stessi media occidentali che appoggiavano le fughe anche finanziando gli scavi per poi trasmettere le immagini e strumentalizzare le vicende a discapito della politica della DDR.

Nel tour ‘Il muro visto da sotto’ si sale anche in superficie, in Bernauer Strasse, luogo simbolo della città divisa e testimone della maggior parte delle fughe tra Est e Ovest perché il muro passava proprio di qui. Quest’area è stata adibita a interessantissimo Centro di Documentazione del Muro. Il memoriale è visitabile in autonomia e gratuitamente: all’esterno è stato creato un ‘parco storico’ in cui è visibile una porzione di muro, si ritrovano totem con fotografie, racconti scritti e registrazioni audio di testimonianze. Sul terreno, in superficie, sono segnati i confini dei canali sotterranei che attraversavano la striscia della morte. Il centro visite offre audiovisivi e pannelli esplicativi di grande interesse.

Con il tour ‘Mondi oscuri’ si visita un rifugio antiaereo. Nel percorso sono esposte foto di bunker scattati nell’immediato dopoguerra, ma quasi tutti i bunker o rifugi furono abbattuti nel processo di demilitarizzazione della Germania sancito dalla conferenza d Potsdam. Il bunker di Hitler era nei pressi dell’attuale monumento dell’olocausto, sotto al parcheggio antistante. 30 aprile Hitler si suicida, il 1 maggio conquista del Reichstag da parte dei russi. I russi arrivano al bunker di Hitler, gli alleati soltanto 57 giorni dopo, per cui la versione della conquista è solo raccontata dai russi. Parte del bunker di Hitler è ancora esistente ma non è aperto al pubblico. Il rifugio antiaereo visitabile non fu abbattuto perché si sarebbe danneggiata la metropolitana. Le pareti erano verniciate di una speciale vernice bianca che si illuminava con il buio in caso di emergenza, se fosse andata via la corrente elettrica: o solo una striscia per segnare il percorso o tutta la stanza, ma solo nei casi di ambienti speciali (infermeria, stanza dei vigili del fuoco, sala comando), perché era costosa. La vernice ora ha un po’ perso il potere fluorescente ma si dice che ci si potesse leggere una rivista.

I sotterranei come rifugi antiaerei erano protezione per molti, ma non per tutti. Priorità alle donne lavoratrici, perché l’ottica hitleriana imponeva di preservare la forza lavoro: divieto assoluto per rom, omosessuali e chiaramente neanche a dirlo, agli ebrei. A meno che si facesse parte della schiera dei cosiddetti ‘lavoratori coatti’, veri e propri schiavi spesso provenienti dai luoghi conquistati dal Terzo Reich e tenuti come schiavi per produrre mattoni prima e sfruttati poi nelle industrie belliche. Storie raccapriccianti sono emerse scartabellando tra le carte dopo il processo di Norimberga.
Nel percorso sono conservate maschere antigas, arnesi per spegnere il fuoco, perfino un gioco dell’oca che da istruzioni ai bambini su come reagire in casi di emergenza: tutti oggetti che testimoniano la strategia della propaganda di trasmettere l’idea che la Germania fosse minacciata da un sedicente nemico.
Ma i sotterranei hanno visto anche storie più leggere. Erano luoghi freschi adatti alla produzione della birra. Un decreto di fine ottocento impose che la birra poteva essere prodotta solo nei mesi invernali, in quanto la fermentazione avviene tra i 4 e gli 8 gradi. Le fabbriche si ingegnarono scavando cantine per poter produrre la lager anche in estate.
I sotterranei custodivano fino a pochi decenni fa quell’efficientissimo mezzo di comunicazione che era la posta pneumantica, meccanismo ancora visibile nei percorsi di visita: l’antenata della fibra ottica si estendeva, dai tempi di Bismark per ben 400 km sotto il suolo di Berlino, fungendo da funzionale ‘fibra ottica’ per avvicinare tutti i cittadini. Prima di essere divisa, anche nei sotterranei, dal muro.
