VENDICARI: IL VOLTO ARTISTICO DELLA NATURA

di Francesca Orioli
Aprile 2022

In primavera la Riserva di Vendicari è una tavolozza di colori: tormentate pennellate blu per un mare intenso ed agitato, cinquanta sfumature di verde per rinfoltire i cespugli, un pointillisme multicolore per disegnare fiori di campo, un pastoso ocra per le costruzioni erette dall’uomo che hanno attraversato i secoli.

Visitare la riserva è come passeggiare in una galleria d’arte a cielo aperto, allietati da capolavori che risvegliano l’anima e profumi che avvolgono i sensi. Siamo agli Uffizi della Madre Terra, al Louvre del Creato. E’ aprile, la ‘soprintendenza’ ha appena aperto i cancelli ai turisti, tutto  è ancora un po’ allo stato brado, ma fuori stagione ci si gode il silenzio, il rumore del mare, il vento nei capelli. L’aria profonda che si respira, i primi caldi e i primi soli, sciolgono il letargo nella sempre splendida Sicilia.

Siamo a sud di Siracusa, tra Noto e Pachino, la riserva si estende per 1500 ettari in un equilibrato mix tra vestigia di epoche passate e natura incontaminata, strappata alle grinfie dei costruttori di stabilimenti balneari e strutture ricettive selvagge.

Cinque sono gli ingressi: il principale è Vendicari geograficamente al centro, a sud Cittadella a San Lorenzo, al nord Calamosche, Marianelli ed Eloro; il costo è di 3,5 euro (prezzo 2022) per ogni info tecnica aggiornata il sito è: www.riserva-vendicari.it/

Per morfologia ed interesse, la riserva offre tre itinerari: il ‘Blu’ che esplora la zona a nord con le spiagge migliori, l’’Arancio’ con affascinanti costruzioni e capanni di osservazione, il ‘Verde’ a sud per gli amanti dell’archeologia. Noi abbiamo scelto di unire l’Arancio e il Blu partendo dall’ingresso Vendicari, e di percorrere un tratto del Verde spostandoci in auto verso l’ingresso di Cittadella.

I sentieri sono generalmente ben tracciati anche per non calpestare a destra e a manca, a tratti addossati al litorale, a tratti leggermente più all’interno, appena in tempo per ripararsi dalle giganti onde che non hanno niente della serenità di quelle dipinte dai giapponesi. In molti punti la costa si presenta rocciosa, spesso in uno stato totalmente selvaggio, con rami alberi e sterpaglie depositati dal lungo inverno ancora in attesa di essere spazzati via dalle guardie forestali: un incrocio tra una Guernica bombardata dal mare e una impazzita testa di medusa del Caravaggio.

Le distese verdi regalano invece un senso di pace, cespugli ordinati e separati da piccoli sentieri, espressioni di un tripudio di fiori che farebbero l’invidia dei copricapo di Frida Kahlo.

La zona centrale è senz’altro la più varia perché accanto alle meraviglie paesaggistiche si ergono strutture affascinanti che hanno avuto ruoli importanti nella storia del luogo. La massiccia Torre Sveva domina da secoli il mare e sembra un elemento della scenografia di un’immaginaria piazza ad Alessandria d’Egitto nella grande tela che ci accoglie a Brera. La torre, un parallelepipedo ocra in osmosi col mare, fu eretta nei primi decenni del ‘400 con lo scopo di avvistare e respingere gli attacchi dei pirati saraceni e corsari magrebini, sempre pronti a saccheggiare l’isola.

A fianco padroneggia la tonnara, che a suo modo ha sempre soggiogato il mare ai suoi voleri. Il luogo quasi metafisico rapisce anche noi, attirandoci tra lo scheletro della sua struttura fatta di una ciminiera e tanti pilastri che si ergono come colli di Modigliani verso il cielo. La tonnara risale al settecento, ha vissuto un’alternanza di  periodi di abbondanza e periodi di magra, penalizzata dalle vicine tonnare di Pozzallo e Marzamemi avvantaggiate da posizioni più favorevoli. Poi il boom ad inizio novecento che portò un nobile di Avola ad investire nel business e ristrutturare la tonnara originaria e darle nuova vita. La tonnara comprendeva lo stabilimento per la lavorazione e conservazione del pesce – tonni e sgombri – e le abitazioni degli operai, che nei periodi floridi erano circa una quarantina. Era una tonnara ‘di ritorno’, ovvero catturava i tonni che, passata la stagione degli amori, ritornavano verso il mare aperto. La seconda guerra mondiale mise fine all’attività e la tonnara venne chiusa nel 1943.

Nell’immediato interno delle due costruzioni si sviluppano le aree umide e il paesaggio prende colori romantici di Constable:  il pantano grande e il pantano piccolo. Qui vivono e nidificano fenicotteri, aironi, cicogne, garzette e altre specie, che considerano Vendicari un punto di passaggio nelle loro traversate migratorie. I due pantani servivano da saline ai tempi della tonnara, preziosa materia di conservazione e i capanni di osservazione erano al tempo depositi e casette dei salinari. Per chi conosce il Delta del Po trova qui in questi pantani una certa somiglianza con quei paesaggi, rimane però spiazzato quando, volgendo lo sguardo più in là, incontra il blu brillante del mare al posto del verde cupo fiammingo dell’adriatico veneto-emiliano.

La parte più a sud ospita vestigia di un insediamento bizantino nel VI secolo d.C.: la Cittadella dei Maccari. L’accesso più diretto è quello di San Lorenzo, strada IX. La struttura più evidente è la Trigona, una cuba bizantina, ovvero un edificio religioso paleocristiano che si è conservato in buone condizioni in quanto inglobato in altri edifici che lo hanno preservato. L’edificio è spiazzante, sembra di essere stati catapultati in uno sfondo di alcune  rappresentazioni pittoriche della Fuga in Egitto.

Intorno si possono scovare necropoli dello stesso periodo, forse meno scenografiche ma pronte a dare la loro testimonianza del glorioso passato. Tutt’intorno un ambiente naturale prezioso e selvaggio, habitat ideale per la nidificazione di diverse specie di uccelli, tanto che alcune aree possono essere interdette ai visitatori proprio per preservare i processi naturali.

Anche l’estremo nord, conserva reperti antichi: qui si trovava l’antica Eloro, una colonia fondata alla fine del VIII secolo a.C. lungo la sponda sinistra del fiume Tellaro come spinta espansionistica della vicina Siracusa. Sono ancora visibili le necropoli, una traccia della via Elorina che collegava la colonia alla città e una bellissima spiaggia, da godere proprio in primavera evitando la calca estiva. Certo fa ancora freschino per mettersi in costume, un antivento leggero è quello che ci vuole: la Maja è abbastanza vestida altro che desnuda.

Per arrivare al Eloro attraversiamo la spiaggia Calamosche, una caletta sabbiosa fra due promontori rocciosi che sembrano agguantare il mare cristallino per offrirlo a chi ha deciso di godere di questo paesaggio speciale. Scarpe in mano attraversiamo il rio Tellaro che si butta in mare e ci troviamo in una spiaggia dalla sabbia fine e dorata.

Due ciceroni d’eccezione ci accompagnano per alcuni tratti nella nostra esplorazione di questo ‘girone’ di paradiso terrestre: un guardiaparco appena entrato in servizio munito di pinza e sacco che semina pillole di saggezza sulla cultura siciliana più raccogliere elementi estranei nel terreno e un cane che ci adotta guidandoci per una parte della nostra avventura e che ci rivolge un sorriso enigmatico ogni qualvolta ci fermiamo a scattare o a goderci il panorama.

Un luogo davvero straordinario, un capolavoro della natura in una cornice siciliana di forte impatto. Un’esperienza che arricchisce come tutta la regione è in grado di fare; da godere prima che la Fiumana si impossessi degli spazi e sovrasti i rumori che madre natura qui ci regala in maniera un po’ selvatica ma per questo più vera.

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