di Francesca Orioli
Dicembre 2021
Riscoprire le bellezze della propria città natale quando si risiede altrove ha un sapore speciale, quasi nostalgico. Fa emergere una genuina consapevolezza della solidità delle proprie radici e la fierezza nel voler mostrare al mondo le bellezze autoctone. Scatta una voglia di stimolare chi ci abita ancora a rispolverare quei luoghi rimasti latenti dai tempi delle gite scolastiche giornaliere di conoscenza del territorio.
Spinti dalla saggia iniziativa del biglietto cumulativo MyFeCard ripercorriamo in un weekend alcune delle bellezze più conosciute di Ferrara, che sono parte integrante di ogni visita alla città, e altri tesori, che normalmente non starebbero in cima alla lista ma che si riveleranno una piacevole sorpresa. Saremo affascinati da affreschi imponenti e unici, opere d’arte grandiose, soffitti incredibilmente importanti, degni dell’entourage estense.
Seguiamo quindi la lista dei monumenti compresi della MyFeCard acquistabili sul sito https://www.ferraraterraeacqua.it/it/myfecard o presso le singole biglietterie.
PALAZZO SCHIFANOIA
Voglio cominciare da Palazzo Schifanoia, che nonostante il suo nome da bambino maleducato, è tesoro indiscusso e orgoglio di Ferrara per il suo ‘Salone dei Mesi’. Il palazzo edificato per ‘schifare’ quindi schivar la noia è stato pensato dagli Estensi per i loro passatempi.

Voluto da Alberto d’Este alla fine del ‘300 venne poi ampliato e sicuramente ‘più vissuto’ dal duca Borso d’Este nel 1450. E’ a lui che si deve il grande salone di rappresentanza, che ci piace immaginare ‘da ballo’ con un ciclo pittorico sensazionale e assolutamente innovativo. Dodici mesi, dalle dimensioni monumentali, per rappresentare i quali vennero chiamati a corte i migliori artisti della scuola pittorica ferrarese – Cosmè Tura, Francesco del Cossa , ed Ercole de’ Roberti – e accentrate conoscenze astrologiche e astronomiche dell’epoca. La colossale opera venne conclusa in tempi rapidissimi tra il 1469 e il 1470, quando ci sono i soldi i lavori procedono lisci. Solo due pareti sono giunte fino a noi riportandoci i mesi da marzo a settembre. Ogni mese prevede tre piani: in alto la rappresentazione di divinità pagane trasportate da carri trionfali guidati da animali veri o fantastici, nella fascia mediana il segno zodiacale e le enigmatiche figure dei decani legate alla tradizione egiziana che guidano le attività quotidiane e in basso la vita terrena con le vicende celebrative di Borso d’Este per festeggiare il riconoscimento del titolo di duca da parte del papa.
Vicende chiaramente volute e condotte dalle forze celestiali sopra rappresentate a comprova del buon governo del duca. Se questa è la sala d’onore senz’altro autoreferenziata, tutto il palazzo ha avuto una storia interessante e la nuova configurazione museale, seguita ai restauri del 2020, lo ha valorizzato appieno. Cicli di affreschi, soffitti imponenti, ma anche ricostruzioni digitali che fanno comprendere le evoluzioni e una prova ‘reale’ dell’evidenza di come doveva essere la decorazione della facciata e dei muri perimetrali un tempo: un muro a motivi geometrici policromi che si è mantenuto perché, a seguito dell’ampliamento del palazzo, è divenuto parete interna.

Un dettaglio che fa ben capire l’eleganza e la spettacolarità della struttura. Con il declino degli Este anche Schifanoia andò in malora: nel ‘700 l’edificio venne affittato alla Manifattura Tabacchi e tutti gli affreschi coperti con intonaco. Viene la pelle d’oca a pensarci.
CASTELLO ESTENSE
Altro fiore all’occhiello della città di Ferrara è il suo castello, dalla forma scenograficamente perfetta racchiusa nel fossato d’acqua.
La costruzione del castello iniziò nel 1385 quando il marchese della casata d’Este Niccolò II affidò l’incarico all’architetto Bartolino da Novara. La spinta venne data dalle rivolte popolari contro la carestia e la fame e quindi l’esigenza di rintanarsi fra mura solide. La costruzione deve aver portato a ulteriori richieste di tasse ai sudditi e le rivolte non finirono, sembra che proprio da qui derivi il detto contadino ‘quando la fame batte in castello’ pronunciata dalle nonne in ferrarese stretto.
Inizialmente il castello fu quindi una fortezza, con scuderie, alloggi militari, magazzini per armi e scorte alimentari e di legna del vicino palazzo signorile ma anche officina per le armi e laboratorio per la produzione della cera.
Nel 1476 ci fu una rivolta famigliare interna: l’assenza del duca Ercole I in città aveva indotto il nipote Nicolò figlio di Lionello d’Este a tentare un’invasione per usurpare il comando della casata. La moglie di Ercole I, Eleonora d’Aragona, si rifugiò, in quell’occasione, nella fortezza con i figli. L’invasione non ebbe seguito, Nicolò venne decapitato e Ercole I rimase ben saldo al comando, ma da quell’episodio il castello divenne residenza signorile. E cominciarono anche gli abbellimenti, le decorazioni e gli ampliamenti per trasformare gli stanzoni militari in accoglienti appartamenti degni di duchi e duchesse.

E con i contemporanei lavori urbanistici seguiti da Ercole I e dal fidato l’architetto Biagio Rossetti dell’innovativa Addizione Erculea, il castello venne a trovarsi al centro della città. Ogni coppia ducale che si insediava faceva avviare lavori per l’abbellimento a proprio gusto a volte ribaltando completamente gli ambienti creati in precedenza. Al primo piano ammiriamo ancora oggi i preziosi soffitti della Saletta del Giochi e del Salone dei Giochi, della Sala dell’Aurora e della Sala del Governo, la pace ricercata della loggia degli aranci che permetteva alle duchesse di sbirciare cosa avveniva in città senza essere viste. Al piano terra ritroviamo le cucine, gli ambienti di servizio e nei sotterranei le lugubri prigioni. Questi ambienti, avvolti dall’umidità del fossato e di notevole impatto, hanno ospitato per lo più proprio membri del casato estense, scoperti come cospiratori o traditori del regnante in carica: passarono qui molti anni i fratelli del duca Alfonso I condannati per aver attentato alla vita del fratello, furono rinchiusi in queste segrete Ugo e Parisina, rispettivamente figlio e seconda moglie del marchese Niccolo III, nel 1425 entrambi ventenni, scoperti amanti.
CASA ROMEI
Casa Romei è considerata il prototipo della dimora signorile ferrarese della metà del ‘400 e sicuramente la villa più elegante della città dell’epoca. Giovanni Romei appartenente ad una famiglia nobiliare ma presto orfano di padre, seppe nelle sua vita cogliere parecchie occasioni propizie intrecciando le migliori relazioni. Ben guidato dallo zio, amministrò saggiamente il patrimonio famigliare investendo in terre. Convolò a giuste nozze che lo portarono ad essere molto vicino alla casata degli Este ai tempi del marchesato di Niccolò II. Ma nel frattempo non disdegnava a mettere al mondo figli fuori dal matrimonio che poi legittimava per stringere relazioni proficue. Ottenne cariche importanti sotto il ducato di Borso e, intorno al 1470, in una fase di declino risollevò le sue finanze sposando, in seconde nozze, una estense, ricevendo pochi anni dopo la carica di consigliere ducale. Uno scaltro opportunista insomma, un po’ cortigiano un po’ furbetto.

La costruzione della villa risale al 1443, elementi medievali venivano affiancati dalle avanguardie rinascimentali. Un cortile completamente decorato, gli affreschi della Stanza delle Sibille e dei Profeti, i monumentali soffitti e camini ne fecero una residenza sublime.

Alla morte di Romei, avvenuta nel 1483, la residenza venne lasciata alle monache del Corpus Domini e a metà del ‘500 il cardinale Ippolito II d’Este fratello del duca Ercole II ne fece la propria dimora apportando modifiche e nuove decorazioni, puntando su scende bibliche per ricordare la sacralità del luogo ma anche su grottesche e animali esotici. Nell’800 la struttura passò di proprietà dalla Chiesa allo Stato, che ne fece un rifugio per i senzatetto. Seguì un inevitabile periodo di declino che portò il Comune ad avanzare una proposta di demolizione nel 1894 che per fortuna non ebbe seguito. Ad inizio ‘900 si diede il via ai restauri e nel secondo dopoguerra iniziò ad essere considerata struttura museale.
PALAZZINA MARFISA D’ESTE
L’edificio ha conservato il nome della sua residente più affezionata, la principessa Marfisa, che aveva ereditato la casa dal padre Francesco d’Este (figlio del duca Alfonso I e Lucrezia Borgia). Marfisa visse qui anche quando Ferrara passò allo Stato Pontificio e gli Este si ritirarono a Modena. Costruita nel 1559, la villetta è una struttura raccolta, una palazzina appunto, più intima rispetto alle grandi residenze ducali. I soffitti sono i veri protagonisti, che si impongono sulle sale come elemento ornamentale predominante, degni dei grandi saloni.
Del resto per le decorazioni l’ingaggio venne affidato all’officina dei Filippi, che all’epoca erano il top dei decoratori ferraresi, maestri nelle grottesche. La palazzina è abbracciata da quel che rimane di un giardino che nel ‘500 la collegava all’adiacente Palazzo Bonacossi, sempre patrimonio estense, e a Schifanoia; è ancora intatta la splendida loggia degli aranci, un pergolato dipinto con motivi a tralci di vite che veniva utilizzato come serra e per gli spettacoli.
PINACOTECA NAZIONALE
Racchiusa nel magnifico Palazzo dei Diamanti, generalmente non viene considerata quando ci si reca qui per le mostre. Ma, intenti ad approfondire la conoscenza di Ferrara entriamo a scoprire quali tesori racchiude. La Pinacoteca fu istituita dal Comune di Ferrara nel 1836 per raccogliere molte opere provenienti dalle chiese della città soppresse dagli editti di Napoleone. Vennero poi qui convogliati dipinti provenienti da collezioni private, in particolare quelle appartenenti alla Cassa di Risparmio di Ferrara. La Pinacoteca è un indiscusso spaccato della scuola pittorica ferrarese: Dosso Dossi, Garofalo, Ercole de Roberti, Cosmè Tura ma troviamo anche il Guercino, un dipinto del Mantegna, quattro tavole di El Greco, un irrequieto Bambin Gesù di Gentile da Fabriano. Una passeggiata tra capolavori che ad un certo punto sfocia in un grande salone impreziosito da un soffitto ligneo intarsiato.

MUSEO DELLA CATTEDRALE
Un vero gioiello della città che racchiude tesori provenienti dalla cattedrale, raccolti nell’ex chiesa di San Romano.
In una plateale prospettiva troneggiano le ante d’organo dipinte da Cosmè Tura. Al centro dell’esposizione sono poste le due pale che i fedeli ammiravano ad ante chiuse: la scena di San Giorgio (peraltro patrono di Ferrara) che uccide il drago e salva una spaventatissima principessa. Ai lati sono poste le pale visibili quando le ante dell’organo erano aperte: un serafico Angelo annunciatore e una dimessa Maria in ascolto della lieta novella.

Di notevole rilievo sono poi le formelle dei mesi facenti parte del portone dei Pellegrini che si apriva lateralmente dal duomo sulla piazza Trento Trieste: accanto alle attività tipiche di ogni mese dell’anno si affiancavano tavole raffiguranti i segni zodiacali, a confermare l’interesse della cultura ferrarese verso l’astrologia.
Rimarremo poi affascinati dalla Madonna del Melograno di Jacopo della Quercia, che ha guadagnato una posizione particolare nella ex sacrestia, avvolta da una luce sapientemente studiata per valorizzare ogni movimento del marmo di Carrara. E’ chiamata affettuosamente la Madonna del Pane perché il Rotolo della Legge che stringe nella mano il Bambin Gesù viene visto come un tipico crostino di pane della ‘coppia ferrarese’. La splendida statua si trovava sull’altare privato della famiglia di Virgilio Silvestri, camerlengo di Niccolò V d’Este.
MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE
L’interesse per il museo è duplice: una bella residenza cinquecentesca e il racconto di una storia risalente al IV secolo a.C.. Siamo nel palazzo intitolato a Ludovico il Moro, in realtà appartenente ad Antonio Costabili segretario del duca milanese e figura molto legata agli Estensi. I progetti iniziali vennero firmati da Biagio Rossetti che però non portò a termine del tutto l’opera; sua è la scalinata che dal cortile porta al piano nobile, sobria, essenziale ma estremamente raffinata. Gli interni vennero decorati dal Garofalo, il pezzo forte è senz’altro il soffitto della sala del Tesoro dove, in un’ardita prospettiva, svariati personaggi si affacciano ad una balaustra ornata di tappeti orientali per guardare gli ospiti reali della sala.

I reperti archeologici raccolti nel museo testimoniano l’esistenza di una città, Spina, sul delta del Po, importante emporio marittimo etrusco fondamentale per gli scambi tra Oriente e Occidente. Grandi vasi a figure nere e rosse, molti praticamente intatti, fanno pensare a rapporti privilegiati con Atene, gioielli in oro e ambra dimostrano la ricchezza della città portuale. La scoperta del tesoro sommerso avvenne per caso nel 1920 nel corso delle attività di bonifica in epoca fascista; tutti i reperti trovarono collocazione in questa sede del 1935 con l’inaugurazione del Regio Museo di Spina, che avvenne in pompa magna alla presenza del Principe Ferdinando di Savoia.